Il cambiamento climatico porterà conseguenze non solo a livello ambientale ma anche economico. Tre gradi più alti di temperatura previsti entro fine secolo portano con sé una perdita di 23 punti percentuali del Pil pro capite, una marcata concentrazione di ricchezza a favore di alcuni Paesi del Nord a scapito di altri, quelli dell’emisfero sud, con tutte le conseguenze che ne derivano.
A sostenerlo il “Rapporto Coop 2019-Economia, consumi e stili di vita degli italiani di oggi”, che calcola al 2100 le seguenti variazioni del Pil pro-capite in Europa in base al cambiamento climatico: Germania +63%, Regno Unito +42%, Francia +10%, Italia -26%, Spagna -47%. Un impoverimento generale, che finirà con l’aggravare ulteriormente la crisi di migranti che si sta vivendo in questi ultimi anni.
Si stimano in 143 milioni solo i profughi cosiddetti ambientali che entro il 2050 (soprattutto) dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina si dirigeranno verso Nord. In questo scenario l’Italia è tra i 5 Paesi più vulnerabili d’Europa e il cambiamento climatico ha già generato effetti importanti; negli ultimi 15 anni nel nostro Paese sono spariti 1 su 3 alberi da frutto, 500 ettari tra Sicilia e Calabria sono già oggi destinati alla coltivazione di frutta esotica, mentre le temperature che si innalzano hanno fatto aumentare la concentrazione di mercurio nei pesci (in 30 anni +27% ad esempio nel tonno).
Evidenze che filtrano nella coscienza collettiva degli italiani e fanno breccia nei loro comportamenti di vita e di consumo. In tanti sognano un’abitazione eco-sostenibile (55%), comprano sempre più spesso vestiti (13% oggi e 28% in futuro) e automobili verdi (seppur ancora nicchia ma cresce la vendita di auto ibride +30% e soprattutto elettriche +148%), si rivolgono alla cosmesi green (la sceglie 1 donna su 4 e in appena un anno nel 2018 sono stati oltre 13.000 i prodotti lanciati nel settore con claim legati alla sostenibilità pari a un +14,3% rispetto all’anno precedente).
Sia esso pragmatismo o adesione a un’ideale di vita, tutte le voci di spesa associate in vario modo alla sostenibilità crescono. Tutti i prodotti che hanno una certificazione associata al tema registrano nei primi sei mesi dell’anno una variazione positiva; è il caso dell’UTZ +21,5%, del Friend of the Sea +2,8%, del bio che continua la sua inarrestabile e conclamata ascesa +4,6% e persistono atteggiamenti quotidiani responsabili. Così l’88% dei nostri connazionali fa la raccolta differenziata in modo meticoloso e il 77% utilizza elettrodomestici a basso consumo energetico.
Avere un brand legato alla sostenibilità è in questo momento riconosciuto dai consumatori italiani come un valore aggiunto insieme a pochi altri criteri di riferimento condivisi. La sostenibilità è una componente fondamentale della reputazione d’impresa, in un contesto dove langue la fedeltà e la voglia di cambiamento regna sovrana se è vero che 9 italiani su 10 ammettono di tradire nel carrello della spesa e l’87% abbandona sempre più spesso i programmi di fidelizzazione proposti.
Ecologisti convinti anche nel cibo dove il 68% ritiene favorevole far pagare un supplemento per i prodotti in plastica monouso così da disincentivarne l’acquisto. Un atteggiamento che ci fa onore se si pensa che ogni settimana ingeriamo involontariamente con gli alimenti 5 grammi di microplastiche, ovvero il peso di una credit card (1 bottiglia d’acqua arriva a contenere fino a 240 microplastiche a litro).