Il cambiamento climatico è sempre più al centro dell’opinione pubblica così come gli eventi meteorologici causati dal riscaldamento globale, che frequentemente determinano ingenti danni economici, infrastrutturali e, spesso, perdita di vite umane. Di conseguenza i riflettori sono puntati sull’effetto serra dovuto alle crescenti emissioni di CO2 antropica in atmosfera, che determina l’incremento delle temperature.
Molti studi hanno dimostrato “l’anomalo” aumento della temperatura media della superficie terrestre a partire dalla metà del XVIII secolo, con un ulteriore incremento registrato dopo il 1980. La Terra si è “riscaldata” dall’epoca della Rivoluzione Industriale ed appare abbastanza chiaro il ruolo giocato dall’uomo nell’aumento della concentrazione di CO2.
Ma l’incremento della CO2 non dipende solo dal contributo antropico. Considerando tempi geologicamente significativi, il livello di CO2 atmosferica è controllato da processi naturali principalmente come il Degassamento Terrestre ed il “chemical weathering”, che rispettivamente aggiungono e consumano anidride carbonica.
Il sistema Terra è da sempre caratterizzato dal rilascio di gas endogeni, dei quali una delle maggiori componenti è rappresentata dalla CO2. Il degassamento terrestre consiste nel trasferimento di gas dall’interno della Terra (crosta e/o mantello) verso l’atmosfera, attraverso l’azione combinata di due distinti contributi: il degassamento vulcanico ed il degassamento non vulcanico (o tettonico).
Il primo risulta relativamente localizzato agli apparati vulcanici attivi e determina un flusso di CO2 che si manifesta sia in periodi di attività eruttiva, sia in fasi di quiescenza, comprendendo in questa categoria anche il degassamento dei sistemi idrotermali. Il secondo è caratterizzato da un’estensione più regionale ed interessa le aree tettonicamente attive, dove il rilascio di gas non è direttamente connesso alla presenza di vulcani attivi, ma a condizioni strutturali della crosta favorevoli alla risalita e/o alla emissione di gas (faglie attive).
Uno dei processi che consuma l’anidride carbonica atmosferica è il chemical weathering, che corrisponde alla degradazione chimica delle rocce sulla superficie terrestre. L’agente principale è la pioggia, che discioglie CO2 atmosferica durante la sua formazione, rendendola relativamente acida e chimicamente aggressiva per l’azione erosiva delle terre emerse ricadendo al suolo.
Ne deriva quindi una sorta di equilibrio tra la CO2 immessa in atmosfera e quella sottratta, significativamente alterato dal contributo antropico durante gli ultimi due secoli. Per meglio comprendere l’impatto di questa perturbazione e ridurre le incertezze sui modelli climatici e sugli scenari futuri è necessario migliorare le conoscenze di questi processi geologici e quantificare il bilancio della CO2 (e più in generale del carbonio inorganico).
Il degassamento vulcanico è un processo relativamente molto più studiato degli altri, anche per l’abbondanza di evidenze superficiali. Nonostante un numero crescente di ricerche abbia consentito la misurazione dei flussi di alcuni dei principali vulcani del mondo, le emissioni della maggior parte degli altri sistemi (anche idrotermali) non sono note. Le stime su scala globale sono state effettuate estrapolando i dati disponibili a tutti i vulcani attivi (circa 15000 che hanno eruttato negli ultimi 10000 anni) ed oscillano tra 110 e 937 Mt/anno.
Ancor meno quantificato è il degassamento non vulcanico, nonostante da tempo sia stata riconosciuta per molte aree del mondo una relazione tra tettonica attive e distribuzione delle emissioni gassose. La CO2 può essere rilasciata direttamente in superficie attraverso emissioni puntuali e/o come flusso diffuso dal suolo, oppure emessa sottoforma di CO2 disciolta in acque sotterranee (sorgenti) e laghi. I primi studi su scala regionale sono stati condotti in Italia centro-meridionale, consentendo la costruzione di cataloghi delle emissioni gassose e l’elaborazione della prima mappa regionale di degassamento di CO2 non vulcanica. Il flusso di gas calcolato per quest’area è di circa 9 Mt/anno, che corrisponde a circa 2-15% delle stime globali del flusso vulcanico. Ad oggi molti altri studi sono in corso come per esempio per le Alpi, in Appennino meridionale e in alcune regioni d’Europa, nell’ambito di un progetto supportato dal Deep Carbon Observatory (DCO) focalizzato sul bilancio del carbonio degassante in ambienti non vulcanici.
Molto lavoro c’è da fare per capire e possibilmente quantificare tutte le altre componenti naturali che contribuiscono al controllo del livello di CO2 in atmosfera. Incentivare ricerche sul bilancio dell’anidride carbonica rilasciata dal degassamento terrestre, consentirà di stimare il reale contributo naturale al riscaldamento globale durante questa fase interglaciale, nonché di comprendere altri aspetti, puramente geologici, come le relazioni con la sismicità, il rischio gas e la geotermia.