Tutela della biodiversità e degli habitat naturali, quantità di copertura forestale, vitalità degli ecosistemi, politiche climatiche, qualità di aria e acqua. Sono questi alcuni dei 32 parametri su cui si basa il rapporto dell’EPI (Environmental Prestation Index) per valutare, ogni due anni, l’andamento della sostenibilità ambientale globale.
Il dossier, realizzato dalle università di Yale e Columbia University e giunto al 22 anno, nasce con l’obiettivo di analizzare le politiche ambientali di 180 paesi sulla base 32 indicatori di performance. A giugno 2020 è stata pubblicata l’ultima versione che aggiorna le pagelle nazionali e la classifica dei paesi più e meno virtuosi in termini di sostenibilità. Rispetto all’ultima edizione, quella del 2018, sono stati aggiunti nuovi indicatori per approfondire l’analisi dei servizi ecosistemici e dei cambiamenti climatici.
Nella Top Five 2020 per la sostenibilità ambientale globale vi sono la Danimarca, al primo posto, seguita da Lussemburgo, Svizzera, Regno Unito e Francia. Le prime undici posizioni sono tutte occupate da Paesi europei: dopo la Francia ci sono, infatti, Austria, Finlandia, Svezia, Norvegia, Germania e Paesi Bassi. Questi posti sono dedicati a chi è stato in grado di varare impegni di lunga data per la protezione della salute pubblica, la tutela delle risorse naturali e il disaccoppiamento della crescita economica dalle emissioni di gas serra. Il 12esimo e 13dicesimo posto sono occupati rispettivamente da Giappone e Australia, le uniche due non europee nella top 15.
L’Italia si piazza in 20esima posizione, con un indice di 71, a pari merito con Canada e Repubblica Ceca. Rispetto all’ultimo report del 2018, quando si era classificato 16esimo, il nostro paese perde quattro posizioni. Ad essere peggiorati sono in particolare il consumo di suolo e la perdita e la frammentazione degli habitat che la posizionano al 166° nella classifica generale. Negativi anche gli indici per il sovra-sfruttamento degli stock ittici e la tutela degli ecosistemi marini, per cui ci guadagniamo il 108°, per la quantità di CO2, CH4 e N2O immesse in atmosfera e per i gas serra emessi pro capite, rispettivamente al 111° e 118° posto.
Non mancano, però, alcuni segnali positivi. Siamo al primo posto per quanto concerne l’indicatore di protezione del bioma terrestre, al 10° per lo stato di salute degli stock ittici, all’11° per la qualità dell’acqua potabile. Siamo inoltre 25esimi per l’esposizione al piombo e al 29° per quanto riguarda la vitalità degli ecosistemi.
La classifica dell’EPI sulla sostenibilità ambientale per il 2020 mette in luce i punti critici e i problemi delle agende politiche ancor più visibili a causa del periodo di crisi dovuto a COVID-19. La pandemia è riuscita a mettere in luce, scrivono i ricercatori,“l’interdipendenza di tutte le nazioni e l’importanza di investire nella resilienza”. Il “forte calo dei livelli di inquinamento e il ritorno della fauna selvatica” avvenuti a causa delle misure di lockdown hanno dato, per i ricercatori di EPI, un “inaspettato scorcio di come potrebbe apparire un pianeta sostenibile dal punto di vista ecologico, sebbene a un prezzo terribile in termini di salute pubblica e danni economici”. Se riuscissimo a trarne ispirazione potremmo realizzare quella “trasformazione politica necessaria per un futuro sostenibile che sia economicamente forte e rispettoso dell’ambiente”.