Foreste in fiamme: una sfida per la prevenzione e la ricostituzione

Negli ultimi anni la frequenza, i tempi di ritorno e l’intensità di incendio stanno aumentando in seguito allo sfruttamento del territorio da parte dell’uomo

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© Maria Floriana Spatola

Nel bacino Mediterraneo continuano a bruciare migliaia di ettari di bosco. Tanto in Europa quanto in Italia numerosi sono stati i roghi che hanno determinato la diminuzione di un importante patrimonio forestale che ospita un’ampia varietà di specie vegetali, ciascuna con particolari esigenze ecologiche. Negli ultimi anni la frequenza, i tempi di ritorno e l’intensità di incendio stanno aumentando in seguito allo sfruttamento del territorio da parte dell’uomo, determinando un impoverimento delle cenosi naturali. Infatti, dall’accertamento delle cause di accensione delle fiamme, è apparso come gli incendi di origine dolosa rispetto a quella colposa, siano sempre più frequenti poiché l’interesse è quello di ampliare o rinnovare il pascolo a spese del bosco, eliminare residui vegetali agricolo-forestali e ripulire i terreni incolti. 

Secondo il Rapporto sullo stato delle Foreste e del settore forestale in Italia “2017-2018”, il 2017 rappresenta l’anno con maggior superficie percorsa dal fuoco a partire dal 1980, di circa 160.000 ha, di cui il 70% ha interessato la superficie forestale. Ma il 2020 non fa eccezione: nel periodo tra il post-lockdown e oggi si sono verificati incendi importanti che hanno interessato anche aree protette (Parchi Nazionali e Riserve naturali), causando innumerevoli danni sulla conservazione della biodiversità.

L’aumento della variabilità inter-annuale della superficie bruciata si è registrato soprattutto nella regione Mediterranea dove all’incessante consumo di suolo si aggiungono gli effetti dell’accelerazione dei cambiamenti climatici. Dal punto di vista meteorologico, l’incremento nella frequenza di eventi climatici estremi come le heatwaves, registrati negli ultimi 30 anni, hanno comportato da un lato un aumento dell’evapotraspirazione e dall’altro un ampliamento del periodo dichiarato di maggior rischio d’incendio, rispetto alla tradizionale stagione di incendi (giugno-agosto).

Infatti, come precisato dal rapporto Greenpeace-Sisef “Un Paese che brucia”, i venti e la siccità giocano un ruolo importante nell’aumento della propagazione delle fiamme, basti pensare ai venti delle estati mediterranee come Scirocco e Maestrale e alle prolungate ondate di calore che riducono l’umidità della vegetazione, predisponendola alla combustione. Di conseguenza, l’aumento della superficie forestale bruciata comporta anche un incremento delle emissioni di gas a effetto serra causando impatti evidenti sulla qualità dell’aria.

© Maria Floriana Spatola

I popolamenti forestali mostrano una diversa risposta agli incendi che varia in funzione del tipo di combustibile vegetale e delle condizioni ambientali, quali ad esempio, il contenuto di umidità.

Infatti, ci sono tipi di vegetazione che vengono colpiti di più rispetto ad altri: i boschi di conifere mediterranee spesso caratterizzati da un elevata quantità di biomassa facilmente infiammabile, favoriscono la propagazione del fuoco, alimentando incendi forestali di grandi dimensioni. Un esempio interessante è rappresentato dall’evento catastrofico del Luglio 2020 che ha interessato circa 200 ha di bosco costituto in parte da una pineta ricadente all’interno della ZPS “Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga” mettendo a rischio un habitat di interesse comunitario 4030- Lande secche europee costituito da una specie endemica di ginestra Genista pulchella Vis. Supsp. aquilana F.Conti& Manzi. Al contrario tipi di vegetazione più resistenti al fuoco come i querceti che grazie alla corteccia spessa e alla capacità di ricacciare dalla ceppaia, sono spesso caratterizzati da incendi di piccole dimensioni ma anche di elevata severità quando persistono condizioni di prolungato stress idrico.

Gli effetti del fuoco sull’ecosistema forestale dipendono dal livello di severità: si passa da leggeri imbrunimenti o scottature della corteccia e della chioma fino alla distruzione totale della pianta.

Incendi di bassa severità, talvolta garantiscono la ricostituzione naturale della vegetazione, senza necessari interventi guidati. Al contrario, danni prodotti da incendi di elevata severità sono difficilmente colmabili con l’evoluzione naturale che porterebbe alla formazione di cenosi particolarmente sensibili e semplificate.

Per tutte le ragioni descritte in precedenza, la comunità scientifica sta focalizzando l’attenzione sul fenomeno degli incendi boschivi e la risposta della vegetazione al fuoco anche in funzione del grado di severità. Numerosi studi propongono l’utilizzo di immagini satellitari sia per l’individuazione in real-time dei roghi durante la loro fase attiva che per monitorare gli effetti del fenomeno. La disponibilità gratuita di immagini satellitari (Landsat e Sentinel) e di strumenti di elaborazione e analisi come Google Earth Engine, permettono di dare una risposta rapida sullo stato delle cenosi vegetali prima e dopo il passaggio del fuoco mediante il calcolo di indici spettrali derivati dalle immagini satellitari pre- e post-incendio. Tuttavia queste tecniche innovative necessitano della validazione dei dati satellitari con i parametri rilevati in campo.

Ad oggi sono pochi gli studi sito-specifici condotti in Italia per la stima della severità d’incendio da satellite, per questo motivo sono in atto numerosi progetti di ricerca che riguardano lo studio dei rischi legati agli incendi boschivi. Un esempio è rappresentato dal Gruppo di Lavoro sulla Gestione degli Incendi Boschivi della SISEF (Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale) che ha come obiettivo principale quello di prevenire i danni causati dagli incendi e adottare una corretta pianificazione di restauro ambientale nelle aree danneggiate. Da qui emerge l’importanza di promuovere lo scambio di informazioni tra ricerca, governance del territorio e gestione degli interventi di ripristino post-incendio.

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