Un incendio di vaste proporzioni sta divorando foreste e ambienti steppici del Kilimangiaro, a 3.700 metri, in una delle aree più preziose per la biodiversità del pianeta. Con tutta probabilità a diffondere i roghi è stato il fuoco acceso per riscaldare il cibo da parte di una delle tante spedizioni. Il fuoco interessa un’area di oltre 50 km2, alimentato da siccità e dai forti venti.
Le operazioni di spegnimento, coordinate dal governo (che ha messo a disposizione un elicottero) e che coinvolgono più di 500 volontari, sono rese difficili anche dalla mancanza di attrezzature sufficienti. Le Nazioni Unite hanno donato centinaia di sacchi a pelo e coperte. Stanno fornendo sostegno anche aziende, ONG (WWF Tanzania), guide turistiche e comunità vicine.
Con i suoi 6.000 metri il Kilimangiaro in Tanzania è la vetta più alta dell’Africa, che svetta solitaria dalla savana africana. La bellezza dei luoghi e la ricchezza di fauna e di flora hanno fatto sì che nel 1973 venne creato il Parco Nazionale del Kilimangiaro, dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1987.
Composto da tre coni vulcanici – Kibo, Mawenzi e Shira – è una famosa meta alpinistica, ma è soprattutto uno dei luoghi più iconici del pianeta. Il cappello di neve e ghiacci che ne sovrasta la sommità, sullo sfondo delle savane africane, ha reso questa famosa montagna un paesaggio iconico in tutto il mondo.
“La perdita anche di un solo metro quadrato degli straordinari habitat che fanno del monte Kilimangiaro un ecosistema unico e prezioso è una gravissima perdita per la Tanzania e per tutto il pianeta. Ad oggi purtroppo l’incendio ha già distrutto più di 50 chilometri quadrati, un vero disastro – ha dichiarato Isabella Pratesi, Direttore Conservazione WWF Italia – Il mondo intero deve diventare più consapevole di quanto gli incendi siano una pericolosissima piaga, alimentata dai nostri comportamenti errati e dal cambiamento climatico. Dobbiamo creare un sistema di contrasto e di intervento globale che aiuti i paesi più in difficolta ma più ricchi di biodiversità a prevenire e combattere gli incendi. L’alternativa è assistere in pochi anni alla distruzione di ecosistemi e di luoghi straordinari ed iconici, proprio come il Kilimangiaro”.
Il Parco nazionale del Kilimangiaro è molto ricco di specie: circa 2.500 le specie di piante, di cui 1.600 sui pendii meridionali e 900 all’interno della cintura forestale. 130 le specie di alberi con la maggiore diversità tra i 1.800 e i 2.000 metri. Ci sono anche 170 specie di arbusti, 140 specie di epifite, 100 liane e 140 pteridofite. Sono presenti 140 specie di mammiferi (87 forestali), tra cui 7 primati, 25 carnivori, 25 antilopi e 24 specie di pipistrelli e 179 di uccelli tra cui alcuni rari ed endemici. Occasionalmente presenti il gipeto e il rondone alpino.
Tra i volontari ci sono anche i colleghi del WWF Tanzania che, sul campo, stanno cercando con tutti i mezzi di creare una barriera all’avanzamento delle fiamme.
“Impegnati come siamo a combattere una crisi sanitaria senza precedenti – spiegano – abbiamo difficoltà a mettere a fuoco quella che sotto moltissimi aspetti è una gravissima minaccia ai sistemi naturali, quei sistemi che, proprio come le foreste, sono così cruciali per la nostra salute e il nostro futuro. Stiamo parlando degli incendi che silenziosamente divorano quello che con difficoltà abbiamo salvato dall’azione distruttiva dell’uomo. Dopo le foreste californiane, quelle dell’Alaska, l’Amazzonia e l’Australia, l’incendio in Tanzania non è da ritenersi un evento unico e casuale ma una delle drammatiche conseguenze di una crisi globale, quella climatica, che esacerba la diffusione, la portata e gli effetti degli incendi”.
Le fiamme sul Kilimangiaro, innescate dal comportamento di uno dei tanti gruppi di portatori che accompagna ogni anno i 50.000 visitatori che battono i suoi sentieri verso la vetta, hanno trovato una presa facile in un habitat provato dalle temperature in continuo aumento e dalla siccità che sta piegando molte regioni africane. Proprio poche settimane fa il WWF aveva pubblicato il report dove metteva in evidenza che dalla savana alla tundra, nessun ecosistema è immune alle fiamme.