Ambiente e tecnologia: quanto inquina la nostra vita digitale

Trascorriamo sempre più tempo connessi, per lavoro o semplicemente per guardare un video. Ma quanto pesano le nostre azioni online in termine di emissioni di CO2 e inquinamento?

783

La pandemia da Covid-19 ha accelerato la digital transformation, cambiando le nostre vite e il modo in cui ci relazioniamo alla tecnologia nel quotidiano. Dallo smart-working alla didattica a distanza, dalle video conferenze agli eventi online, dall’e-commerce all’home banking, il nostro utilizzo di internet è cresciuto esponenzialmente. Apparentemente, spostare le attività online sembrerebbe ridurre l’inquinamento a beneficio dell’ambiente, ma è davvero così?

Qual è l’impronta ambientale del digitale?

Computer, dispositivi elettronici e infrastrutture digitali consumano quantità sempre maggiori di elettricità. A confermarlo è Milena Gabanelli che, nel corso del suo DataRoom sul Corriere della Sera, riporta dati interessanti sulle emissioni dannose prodotte dalla tecnologia e dal loro utilizzo. Nel 2008, ad esempio, le tecnologie digitali utilizzate nelle trasmissione, ricezione ed elaborazione di dati e informazioni (ICT) hanno contribuito per il 2% alle emissioni globali di CO2e; nel 2020 sono arrivate al 3,7% e raggiungeranno l’8,5% nel 2025, l’equivalente delle emissioni di tutti i veicoli leggeri in circolazione.

Quanto pesano i consumi elettrici digitali

Guardare per 10 minuti un video ad alta definizione in streaming equivale, come impatto energetico, a utilizzare un forno elettrico da 2.000 W a piena potenza per 3 minuti. Ma quello che noi paghiamo è solo l’energia consumata dallo smartphone, mentre il traffico che viaggia su Internet, formato da dati che sono stati acquisiti, immagazzinati, elaborati in qualche Data Center – dove vengono creati i servizi digitali che usiamo in remoto – consuma enormi quantità di energia elettrica.

Il Cloud non è una nuvola

Siamo abituati a pensare al Cloud come a un’entità astratta, immateriale, mentre invece si tratta di una infrastruttura fisica allocata altrove, composta da fibre ottiche, routers, satelliti, cavi sul fondo dell’oceano, sterminati centri di elaborazione pieni di computer, che necessita di colossali quantità di energia e sistemi di raffreddamento. Questi consumi non sono né noti né visibili dall’utente finale, che paga invece agli operatori telefonici i Gigabyte di traffico, e ai fornitori di contenuti, l’abbonamento o l’acquisto di film, serie TV, etc.

Video in streaming: quanta energia consumano

Secondo l’associazione indipendente The Shift Project – riporta Milena Gabanelli – che considera il sistema nel suo complesso ed elabora stime medie, guardare 10 minuti di video in streaming consuma 1500 volte più elettricità che la ricarica della batteria di uno smartphone. Secondo la International Energy Agency (IEA), il consumo è invece di 150 volte, perché le stime sono effettuate su dati di singoli player (in particolare Netflix) e su casi specifici di combinazioni: il tipo di dispositivo, risoluzione del contenuto, e di connessione.

Si tratta comunque di consumi enormi, ma come è possibile che le stime siano così diverse? La risposta consiste nel fatto che non esistono dati globali, basati su misurazioni, del consumo energetico indotto dagli usi digitali. Né standard definiti per tracciarli. Il dato certo è che per guardare video in streaming sul grande schermo di un televisore ad altissima definizione il consumo di energia è gigantesco. Solo in Italia, dal 24 al 26 dicembre, la visione di film in streaming è passata dai 2,8 milioni di ore nel 2019, a 6,5 milioni del 2020. L’utilizzo via smart tv è cresciuo del 1000%, dello smarphone del 143%.

I Data center usano energia pulita o sporca?

Nel 2017 Greenpeace ha pubblicato un report nel quale osserva l’impronta energetica dei grandi operatori di Data Center e di circa 70 tra siti web e applicazioni. Le operazioni di Apple negli Usa utilizzano energia pulita per l’83% delle volte. Facebook per il 67%, Google il 56%, Microsoft il 32%, Adobe 23%, Oracle 8%. Di Amazon si conosce poco, inoltre l’azienda sta allargando le proprie attività in aree geografiche in cui sono utilizzate prevalentemente energie sporche, che dichiara di bilanciare comprando crediti di compensazione. La stessa cosa fa Netflix, che si appoggia su Cloud Amazon.

Intelligenza artificiale

I ricercatori dell’Università Amherst del Massachusetts, hanno fornito una valutazione sull’energia necessaria ad «addestrare» modelli evoluti di elaborazione del linguaggio naturale: può arrivare ad emettere 284 tonnellate di CO2 e pari a quasi cinque volte quelle della vita media di un auto americana, produzione inclusa. Possiamo ritenere che questo sia un prezzo da pagare per avere sistemi in grado di fornire risposte intelligenti a domande complesse, o riconoscere immagini.

Quanto pesa la fase di produzione

L’efficienza energetica di dispositivi e infrastrutture digitali è in continuo miglioramento, e questo è positivo per l’ambiente, ma comporta che occorre cambiare spesso smartphone, tablet, computer, televisori collegati, e questo non fa altro che produrre un’enorme quantità di rifiuti difficili da smaltire. Il consumo di energia del ciclo di vita di questi oggetti, ovvero dall’ estrazione dei minerali rari, alla produzione, al trasporto, allo smaltimento, si aggirano rispettivamente attorno all’83% del consumo totale per lo smartphone, dell’80% per un laptop, del 60% per un televisore connesso. Questo ancora prima che vengano messi in vendita.

Le soluzioni passano dalla corretta analisi del dati

Oltre a proporre un’analisi dettagliata del costo della Digital Transformation, Milena Gabanelli propone anche delle soluzioni. Una informatica sostenibile deve coinvolgere tutte le figure che progettano e gestiscono il mondo interconnesso, e richiede una ricerca interdisciplinare fra scienze ambientali, scienza dell’informazione e le varie discipline ingegneristiche, per avere metriche e standard condivisi.

“Gestire il conflitto fra i grandi player che vogliono vendere sempre più dispositivi, controllare dati, produrre contenuti, vendere dispositivi sempre più potenti, e l’ambiente, che non ha un suo difensore altrettanto forte, richiede capacità di governance. Anche da parte dei manager dell’informatica pubblica. Vanno definite apposite clausole nei contratti di servizi informatici in Cloud, esigendo trasparenza da parte dei fornitori nel dichiarare da quali fonti di energia elettrica si riforniscono, e presuppone la capacità di riconoscere un lavoro serio da un banale greenwashing”.

Cosa possiamo fare noi?

Una soluzione potrebbe essere cambiare un po’ meno frequentemente dispositivo, evitare un uso compulsivo di invio video e immagini, non mantenere App inutili che si aggiornano in continuazione producendo un traffico di cui non ci rendiamo conto. Piccoli gesti che fanno bene all’ambiente e a noi.

Iscriviti alla newsletter