La pandemia che stiamo vivendo ci ha imposto cambiamenti sostanziali, ha impatto sulle nostre abitudini di vita, così come sui nostri ritmi biologici. Il nostro stato di salute è messo a rischio dal contagio da SARS-COV2, non dobbiamo dimenticare che la salute passa anche dalla tavola.
Stiamo vivendo, da circa un anno, una “nuova vita”. Trascorriamo più tempo tra le mura domestiche a causa dell’emergenza COVID-19, viviamo limitazioni quotidiane che si configurano come fattori stressogeni, i quali rischiano di alterare il nostro rapporto con il cibo. Quest’ultimo assume connotazioni più psicologiche che biologiche, divenendo conforto e rifugio, piuttosto che energia e mezzo per soddisfare le esigenze metaboliche. In altre parole, l’atto del mangiare può realizzarsi in risposta alla cosiddetta “fame nervosa”, con il rischio di squilibri metabolici di significato.
Che cos’è la fame nervosa?
Mentre la fame biologica dipende da un “vuoto gastrico” ed ha lo scopo di assicurare al nostro organismo il fabbisogno energetico giornaliero, la fame nervosa è la tendenza a mangiare cibo secondo uno stimolo che potremmo definire “vuoto emotivo”, con il fine ultimo della “compensazione”. I fattori psicologici da cui ha origine possono essere sentimenti negativi quali ansia, stress, paura, noia e tristezza. L’emergenza sanitaria attuale e il contesto che viviamo sono terreno fertile per questi input: il cibo è maggiormente a portata di mano e diventa inoltre “valvola di sfogo”, in altre parole “comfort food”.
Valenze emozionali del cibo
Vedere e sentire il cibo come fonte irrefrenabile di gratificazione di paciere, può alterare il nostro comportamento alimentare, fino a creare vere e proprie “dipendenze”. Quando a guidare le nostre scelte alimentari sono i sentimenti, siamo portati, in virtù di meccanismi che regolano la fame e la sazietà finemente modulati da ormoni a livello centrale, a consumare cibi ipercalorici, caratterizzati da “calorie vuote” e da un alto contenuto di zuccheri, sali e grassi “cattivi”. Non solo stimoliamo continuamente la fame, ad esempio per aumento della glicemia e continua stimolazione dell’insulina, innescando un ciclo che si autoalimenta, ma rischiamo di peggiorare tutti i parametri metabolici.
Il cibo che consola può diventare cibo che danneggia il nostro equilibrio corporeo. È chiaro che questo succede se l’atteggiamento errato è costante, non si tratta di un effetto che si innesca se ci concediamo una cena sfiziosa o qualche pezzetto di cioccolata qua e là durante la settimana. Dall’altra parte della medaglia, dobbiamo considerare che l’atto alimentare può rappresentare un’occasione per rendere più efficiente il nostro sistema immunitario, attraverso l’apporto di nutrienti specifici o di alimenti ricchi di nutrienti funzionali. In particolare, alcune vitamine (vitamine A, C, E e D) e alcuni micronutrienti (zinco, selenio, magnesio), così come i probiotici, hanno significative proprietà immuno-stimolanti.
Altro aspetto fondamentale che ha subito notevole variazioni nel contesto pandemico riguarda Il valore del cibo, da sempre inteso come “cura”. L’atto del nutrire si configura un atto d’amore a partire dall’allattamento, fonte nutrimento fisiologico e mezzo con cui la mamma si “prende cura” del nascituro. Per tutta la vita, il cibo è il mediatore simbolico dell’accudimento e della presenza dell’altro, mezzo di condivisione. Presenza dell’altro e condivisione che, durante la pandemia, è notevolmente ridotta come conseguenza del distanziamento sociale, aspetto che mina parte dell’”identità” stessa del cibo.
“Strumenti” di gestione ottimale del rapporto con il cibo
- Consapevolezza e autoanalisi. Imparare a distinguere la fame emotiva da quella biologica: oltre che “sentire lo stomaco” uno strumento importante può essere rappresentato dal diario alimentare. Scrivere ciò che si mangia può essere la strada per la presa di coscienza degli errori e per tenere a mente il timing dei pasti: se mangiamo un’ora dopo aver terminato l’ultimo pasto, è altamente improbabile che la nostra sia una fame biologica.
- Pianificazione della giornata alimentare. È importante definire i pasti giornalieri per non rischiare di operare scelte dell’ultimo momento. Cerchiamo di far passare massimo 12 ore tra il primo pasto e l’ultimo pasto della giornata e di consumare 5 pasti al giorno. Pianifichiamo la nostra giornata cercando di non alterare il nostro “orologio biologico”: i ritmi biologici del nostro corpo, quali l’attività del cuore, del fegato, le secrezioni gastriche e intestinali, si adattano a quelli imposti dall’alternanza luce/buio, sonno/veglia, grazie al lavoro meraviglioso e instancabile di alcuni tipi cellule cerebrali.
- Spesa consapevole. Ognuno di noi conosce i suoi “punti deboli”, ossia i “cibi scatenanti”. Evitiamo di comprare questi alimenti. Se proprio non riusciamo a non portarli a casa, cerchiamo di creare alternative pronte e più salutari: teniamo sempre in frigo verdura cruda tagliata e pronta al consumo. Magari non abbiamo voglia di pulire gli ortaggi, ma se sono già pronti, eliminiamo un motivo per non scegliere questi nei “momenti no”.
- Qualità versus quantità. Approfittiamo del tempo in più che trascorriamo a casa per preparare pasti più elaborati e raffinati, puntando alla loro qualità piuttosto che alla quantità. Concentriamoci sulle materie prime, sui metodi di cottura e sui condimenti. Eleviamo il cibo ad “esperienza di valore”, in quanto colmo della nostra fantasia e della nostra attenzione.
- Separazione spazio-temporale. Dedichiamo tempo all’atto del mangiare, non facciamolo mentre siamo davanti al PC o davanti alla TV o sul divano. Consumiamo cibo in cucina, seduti in tavola e, a pasto concluso, rechiamoci in bagno per lavare i denti.
- Gusto amaro come antifame naturale. Ci sono alimenti che attivano quel meccanismo neuro-ormonale che comunica al cervello la nostra sazietà. Oltre alla fibra, possiamo puntare a piccole quantità di cioccolato fondente (amaro) o al caffè amaro, ma soprattutto alle verdure amare, quali cicoria, scarola, rucola, radicchio, ma anche a cavoli, cavolfiori, carciofi e asparagi.
- Tecniche di distrazione e movimento. Quando la fame si fa sentire e non è il momento di mangiare, è utile distrarsi compiendo altra azione gradita, quale può essere telefonare un’amica, fare un bagno caldo, scrivere, leggere e dedicarsi ad attività creative e rilassanti. Praticare attività fisica può rappresentare un’attività dalla doppia valenza, intesa sia come ottima tecnica di distrazione, sia come “compensazione energetica” (consumo calorico), oltre che come attività stimolante le endorfine, note come “molecole della felicità”.
Non dimentichiamo che “Non è la più intelligente delle specie quella che sopravvive; non è nemmeno la più forte; la specie che sopravvive è quella che è in grado di adattarsi e di adeguarsi meglio ai cambiamenti dell’ambiente in cui si trova”.