L’economia circolare per una crescita più sostenibile
Il modello di economia lineare (take-make-use-dispose) che non prevede il recupero, il riciclo ed il riutilizzo dei rifiuti, è imperfetto dal momento che considera infinite le risorse naturali del nostro pianeta, ma, purtroppo, non è così. Essendoci un limite all’utilizzo delle materie prime che risultano essere essenziali per la maggior parte delle attività umane, la soluzione più ragionevole consiste nella ricerca di un modello di sviluppo fondato sulla minimizzazione degli sprechi e la valorizzazione dei sottoprodotti, capace di mantenere alti i profitti ed allo stesso tempo, di rendere più sostenibile l’economia. Il riciclo dei rifiuti rappresenta sicuramente un valido strumento per ridurre gli impatti ambientali dei processi produttivi. Tuttavia, il concetto di economia circolare, mira a minimizzare la produzione dei rifiuti, valorizzando i residui di produzione. L’obiettivo dell’economia circolare è di ridurre al minimo i rifiuti, dal momento che questi ultimi, possono essere valorizzati e dunque, riusati, riutilizzati e riciclati. In questo modo si limiterebbe non solo l’estrazione di risorse dal sistema naturale, ma anche la reintroduzione dei rifiuti nell’ambiente.
Il sottoprodotto: da scarto ad opportunità di guadagno
Troppo spesso le imprese considerano i sottoprodotti come rifiuti. In questo modo non solo aumenta l’impatto ambientale dell’azienda, ma anche quello economico, dal momento che, la gestione dei rifiuti rappresenta un costo per l’impresa. A tal proposito è, innanzitutto, opportuno ricordare la definizione di sottoprodotto. L’art. 184-bis, introdotto nel D.Lgs. 152/2006, stabilisce 4 punti che l’oggetto o la sostanza deve rispettare per essere classificato come sottoprodotto:
- La sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
- È certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
- La sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
- L’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
Oltre a tale definizione, fortunatamente, si sono aggiunti il Decreto Legislativo 264/2016 e la successiva Circolare del 30 maggio del 2017 che chiariscono le definizioni e gli strumenti disponibili per dimostrare che l’oggetto in questione si tratti di un sottoprodotto e non di un rifiuto. Una volta dimostrato ciò, l’azienda potrà gestire l’oggetto o la sostanza come sottoprodotto, ottenendo una evidente riduzione dei costi. Il sottoprodotto, infatti, si traduce in rifiuto evitato. Ciò significa che vengono meno i costi di gestione dei rifiuti. Gestire i rifiuti significa affrontare i costi di redazione dei formulari, registri e MUD, che non sono previsti per i sottoprodotti. Inoltre, l’azienda risparmierebbe i costi di smaltimento dei rifiuti in discarica. Il sottoprodotto, a differenza del rifiuto, può essere riutilizzato all’interno dello stesso ciclo di produzione (risparmiando i costi di acquisto di nuovo materiale) o rivenduto ad utilizzatori terzi, evitando i costi di gestione dei rifiuti, ed ottenendo addirittura un guadagno.
Dunque, la conoscenza dei benefici economici ed ambientali dei sottoprodotti potrebbe incentivare la diffusione di una cultura sempre più “circolare” tra le imprese, che potrebbero creare una rete di scambio di residui di produzione, ossia una vera e propria simbiosi industriale.