Tutti i colori dell’idrogeno

Se fosse stato facile realizzare una “economia dell’idrogeno”, lo si sarebbe già fatto da tempo. Sono almeno vent’anni che se ne parla, con scarsi risultati (almeno fino ad ora). Eppure sull’idrogeno, dal grigio al blu, dal viola al verde se ne dicono di tutti i colori. Qualche approfondimento al riguardo.

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© Luz Calor Som on Pexels -Le stelle sono fatte di idrogeno, così come il 75% di tutta la materia.

Partiamo dalle basi: l’idrogeno, che i chimici amano identificare con la lettera H, è l’elemento più diffuso nell’universo: quasi il 75% della materia è costituita da idrogeno. Può sembrare poetico, e forse lo è davvero, ma parafrasando Dante si potrebbe dire che è l’idrogeno che move il sole e l’altre stelle, perché proprio di idrogeno sono composte, così come pure in gran parte lo sono i pianeti come Giove e Saturno. Sulla Terra, però, questo elemento non ama stare da solo, è tanto socievole quanto abbondante: quando si lega all’ossigeno otteniamo l’acqua, se si associa al carbonio otteniamo gli idrocarburi (dal metano al carbone), quando è legato sia all’ossigeno che al carbonio otteniamo i vari composti organici. Trovarlo da solo, è praticamente impossibile: non esistono miniere di idrogeno sulla Terra! E però ci serve, e tanto: prima ancora di immaginare usi in ottica green transition, dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che oggi l’idrogeno viene utilizzato tantissimo per l’agricoltura: serve idrogeno per fare ammoniaca, e dunque sali di ammonio, quindi fertilizzanti. Con l’idrogeno, letteralmente, si mangia.

© Kangbch o Pixabay – Grazie all’idrogeno si possono realizzare i fertilizzanti più utilizzati al mondo.

I colori dell’idrogeno: una questione di produzione

Sulla terra l’idrogeno deve essere prodotto, e qui cominciano i problemi perché per ottenerlo bisogna letteralmente staccarlo dalle molecole in cui è combinato. E farlo richiede energia, a volte tanta energia. Per descrivere in modo veloce in che modo l’idrogeno viene prodotto, si sono iniziati ad utilizzare i “colori”, sebbene non si tratti della tonalità reale dell’elemento, che è del tutto trasparente e, allo stato gassoso, invisibile all’occhio umano.

Nero. Una prima molecola da cui è possibile “staccare” l’idrogeno è quella dell’acqua. Tutti sappiamo, più o meno dalle elementari, che la molecola di acqua infatti è costituita da due atomi di idrogeno (H) e uno di ossigeno (O): la famosa H2O. Facendo attraversare l’acqua da un flusso molto potente di corrente elettrica, cioè usando un processo che si chiama elettrolisi, riesco a staccare i singoli atomi gli uni dagli altri e a ottenere idrogeno da una parte e ossigeno dall’altra. La questione è: come genero la (tanta) energia elettrica necessaria all’elettrolisi? Se la ottengo da centrali elettriche a carbone o a petrolio inquino. E tanto: per fare un 1kg di idrogeno con questa tecnologia serve una quantità di energia pari al fabbisogno di una famiglia media italiana per una intera settimana. Essendo molto inquinante, si identifica l’idrogeno prodotto in questo modo con il colore nero.

Grigio. La maggior parte dell’idrogeno prodotto, per la precisione ben il 97%, è grigio. Il processo tecnologico utilizzato è quello cosiddetto di reforming: si parte cioè non dall’acqua, ma dal metano – costituito da un atomo di carbonio e ben quattro di idrogeno (CH4) – o da altri idrocarburi. Durante questa operazione si libera in atmosfera molta anidride carbonica, la famigerata CO2 che, essendo inodore e incolore, non è mai stata un problema fino a qualche anno fa: l’abbiamo da sempre liberata in atmosfera senza grandi preoccupazioni andando a creare il disastro climatico che oggi iniziamo a percepire.

Marrone. È marrone l’idrogeno estratto mediante il processo di gassificazione del carbone fossile (lignite): anche qui, grande produzione di CO2 che viene liberata in atmosfera.

© Publlic Domain Pictures on Pixabay – Lignite. Viene utilizzata per produrre idrogeno cosiddetto “marrone”

Blu. Viene definito blu l’idrogeno prodotto come quello grigio, mediante un procedimento che però non butta la CO2 prodotta direttamente in atmosfera, ma la cattura e la immagazzina: una buona idea, sulla carta. Nella pratica però non è così semplice: immagazzinare la CO2 ha un costo, non solo energetico, molto alto. Ad oggi, l’unico utilizzo è quello delle industrie petrolifere che usano questa anidride carbonica per il recupero secondario del petrolio: si spinge dentro i giacimenti la CO2 con l’obiettivo di fare affiorare il petrolio residuo dai pozzi che diversamente non sarebbero riusciti ad estrarre. Ma questo significa non disperdere in atmosfera la CO2 – generata per produrre idrogeno – per ottenere del petrolio che poi, bruciando, genera altra CO2 che viene dispersa in atmosfera. Un non-sense (in ottica green transition, non di certo da un punto di vista economico per l’industria petrolifera). E poi: per pompare anidride carbonica nei pozzi a 1000 metri di profondità serve energia: una centrale elettrica, e come viene alimentata? Se uso combustibili fossili, c’è un doppio non senso. Se uso le rinnovabili, beh, allora avrei potuto usarle direttamente inquinando meno. Quindi, il blu è un bellissimo colore, ma per l’idrogeno rappresenta solo una bella idea che nella pratica genera più problemi di quanti ne risolve.

Verde. L’idrogeno verde viene generato dall’acqua, come quello nero. Solo che, in questo caso, l’energia elettrica necessaria all’elettrolisi la ricavo non da fonti fossili, ma con l’energia rinnovabile come quella idroelettrica, solare o fotovoltaica. Per produrre idrogeno in questo modo, quindi, serve un surplus di rinnovabile. Attualmente l’Italia – che è tra i primi produttori europei di rinnovabile – ne produce il 40% rispetto al suo fabbisogno. Questo significa che la consumiamo tutta per l’ordinario e non ne “avanza” per produrre idrogeno verde.

Viola. L’idrogeno viola viene generato dall’acqua, come quello nero. Solo che, in questo caso, l’energia elettrica necessaria all’elettrolisi la ricavo non da fonti fossili, ma con energia nucleare. E dunque è necessario prevedere la realizzazione di centrali nucleari che, come sappiamo, sono molto efficienti, tecnologicamente avanzate, non producono anidride carbonica ma residui di lavorazione radioattivi molto difficili da smaltire e trattare e con un alto impatto sociale.

E una volta prodotto, l’idrogeno, come si distribuisce?

Qualunque sia la tecnologia che si utilizza per produrre idrogeno, con i pro e i contro che abbiamo provato a sintetizzare, l’idrogeno ha un altro problema molto serio: è difficile da stoccare e da trasportare. L’idrogeno è l’elemento più leggero in natura, ed è la molecola più piccola dell’universo. Per provare ad immagazzinarlo, attualmente, posso fare principalmente due cose:

  • potrei comprimerlo, ma dovrei portarlo a pressioni elevatissime e non è per niente banale (circa 700 bar) e metterlo in serbatoi;
  • potrei liquefarlo, ma per farlo dovrei essere in grado di portarlo – e mantenerlo – a meno 253 gradi sotto lo zero, quindi dovrei consumare tantissima energia. Non è un caso che ad oggi lo si possa fare solo per lo Space Shuttle.
© NASA Imagery – L’External Tank – Serbatoio Esterno – dello Space Shuttle contiene idrogeno e ossigeno liquidi utilizzati in fase di decollo.

Ci sono poi altre modalità di stoccaggio (sotto forma di ammoniaca, idruri metallici, utilizzando solidi altamente porosi, e via dicendo) ma in molti casi stiamo ancora parlando di ricerca di base non utilizzabile sul mercato. Di certo non è vero che già oggi lo si possa trasportare nelle condotte del metano attuali: in poco tempo andrebbe a corrodere le tubature esistenti, e bisognerebbe cambiare le valvole e i compressori che devono essere diversi da quelli utilizzati per il metano, infatti ne servirebbero di più potenti di almeno tre volte. Servono quindi test molto sofisticati per pensare alla rete distributiva dell’idrogeno e investimenti molto costosi da un punto di vista infrastrutturale.

Conclusioni temporanee

La via della transizione energetica non è banale ed è irta di ostacoli e difficoltà tecnologiche, sociali ed economiche. Lasciarsi fuorviare da semplificazioni “colorate”, che spesso nascondono insidie o interessi marcatamente di parte, è semplice ed è quanto i decisori politici devono assolutamente evitare. Non esiste, ad oggi, una chiara via da percorrere: vanno esplorate tutte con pazienza e buon senso per individuare quella migliore e raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione che ci si è prefissati. Allora, alcune riflessioni e qualche domanda:

  • la ricerca nel settore dello stoccaggio e della distribuzione di idrogeno è fondamentale e va finanziata: non ha senso per il nostro Paese o per l’Europa non investire in ricerca e poi acquistare tecnologia da terzi: cosa stiamo facendo in tal senso?
  • bisogna puntare in modo deciso alla elettrificazione spinta dei consumi finali, all’efficientamento e al recupero energetico, far sì che ci trasformiamo tutti in prosumer energetici. Ad oggi, le centrali termoelettriche convenzionali convertono circa il 30% dell’energia del combustibile in elettricità e il restante 70% viene perso in calore. Se a questo aggiungiamo la dispersione termica a valle (edifici, automobili, elettrodomestici, etc.) ci rendiamo conto dell’enorme assurdità che viviamo. Efficientare. Efficientare. Efficientare. Cosa si sta facendo in tal senso?

Per concludere: la fine dell’era del petrolio e l’avvento di una società dove l’energia per buona parte dell’umanità sarà ricavata dall’idrogeno è una intuizione abbastanza datata. Ne aveva parlato la prima volta Cesare Marchetti, ricercatore dell’International Institute for Applied Systems Analysis di Luxemburg negli anni ’70 del secolo scorso. E poi anche l’economista Jeremy Rifkin, in un suo libro di circa venti anni fa dal titolo “Economia all’idrogeno”, ne aveva descritto tutti gli aspetti positivi. Se però fosse stato così facile come Rifkin sosteneva, lo avremmo già fatto. Ma non è facile. Motivo per cui è necessario impegnarsi, come al solito, partendo dalla consapevolezza che il futuro non può che derivare da scelte politiche coraggiose basate sui dati, sulle evidenze, sulla scienza e la tecnologia. Lasciarsi suggestionare, dicendone di tutti i colori soprattutto sull’idrogeno, ci allontana da quello che dovrebbe essere il nostro vero obiettivo.

Alcuni approfondimenti

Strategia nazionale idrogeno: https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Strategia_Nazionale_Idrogeno_Linee_guida_preliminari_nov20.pdf

Verso un mercato dell’idrogeno per l’Europa:

https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/12/11/towards-a-hydrogen-market-for-europe-council-adopts-conclusions/#

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