Una dieta per il pianeta: la sfida per un sistema alimentare sano e sostenibile

In uno studio pubblicato su Nature Food, un gruppo di ricerca del Politecnico di Torino propone un nuovo indicatore per misurare la salute e la sostenibilità dei sistemi alimentari globali e la loro evoluzione dagli anni Sessanta a oggi

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© Taryn Elliott on Pexels

È possibile garantire una dieta sana per una popolazione futura di 10 miliardi di persone rispettando le soglie di sostenibilità del pianeta?

Con una pubblicazione sulla prestigiosa rivista Nature Food, Marta Tuninetti, Luca Ridolfi e Francesco Laio del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture-DIATI del Politecnico di Torino, propongono un indicatore, il Diet Gap, per misurare l’inadeguatezza dei sistemi alimentari attuali dal punto di vista della salute e della sostenibilità.

Le abitudini alimentari sono peculiari del paese in cui viviamo e possono essere molto diverse da quelle di altri paesi per ragioni legate al contesto storico, religioso, culturale, economico e sociale: “siamo quello che mangiamo”.

“Secondo le indicazioni della Commissione EAT-Lancet, dovremmo limitare il nostro consumo settimanale di carne rossa a un massimo di 200 grammi. In media globale, tuttavia, superiamo di 2,5 volte questa soglia; in Europa tale soglia viene superata di ben 4 volte con importanti ripercussioni sulla salute e sull’ambiente – commentano gli autori dell’articolo – Guardando invece al consumo di legumi il Diet Gap mette in luce un consumo ben inferiore alla quantità ideale (circa 100 grammi al giorno), soprattutto nei paesi più sviluppati, dove il consumo di ceci, fagioli, lenticchie risulta circa stagnante e sotto soglia fin dagli anni Sessanta”

“Il consumo di frutta e verdura mostra invece una dinamica più virtuosa – proseguono gli autori – dal momento che in molti paesi del mondo le soglie suggerite dalla commissione (300 grammi di verdura al giorno e 200 grammi di frutta) sono rispettate.” Tuttavia, gli autori evidenziano la problematica dei cosiddetti Food Deserts, i deserti alimentari che si trovano in alcune città nei paesi più sviluppati, dove il reperimento di frutta e verdura fresca risulta spesso molto difficile soprattutto per i più poveri.

© Politecnico di Torino – La mappa rappresenta come cambierebbe l’impronta idrica se tutti i paesi del mondo adottassero la dieta EAT-Lancet
(in blu la diminuzione, in rosso l’aumento)

Complessivamente, lo studio mostra come una transizione verso un sistema alimentare più sano implichi una transizione verso un sistema alimentare più sostenibile. “Se tutti i paesi adottassero la dieta EAT–Lancet, l’impronta idrica diminuirebbe del 12% a scala globale” commentano gli autori. Il cibo presenta infatti impronte idriche molto diverse: in Italia 200 grammi di lenticchie richiedono circa 900 litri di acqua, mentre 200 grammi di carne bovina ne richiedono più del doppio.

A conclusione dello studio, gli autori offrono un’ampia panoramica degli approcci utili ad innestare la transizione verso a una dieta sana e sostenibile. Tra essi vengono menzionati la sensibilizzazione dei consumatori e una corretta educazione, gli incentivi economici per superare le barriere di accesso a un mercato sano nei deserti alimentari delle città, la tassazione delle bibite gasate. Inoltre il miglioramento della refrigerazione, della trasformazione degli alimenti e l’imballaggio sostenibile offrono un contributo fondamentale per preservare l’ambiente e migliorare la salute pubblica. Come suggerito dalla Commissione, la dieta Lancet è stata concepita per essere il più versatile possibile e per includere e promuovere le diverse esperienze culinarie come opportunità per imparare nuovi modi di preparare diete sane e piacevoli (come dimostra la raccolta di ricette e consigli alimentari disponibile online).

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