Le emissioni di CO2 delle 20 maggiori potenze economiche mondiali stanno aumentando. Nessuno dei paesi del G20 ha attuato piani concreti al fine di raggiungere l’obiettivo indicato dall’Accordo di Parigi del 2015: contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2° C, lavorando per limitare l’incremento a 1,5°C.
Questo è quando emerge dal nuovo rapporto Brown to Green 2019 di Climate Transparency, la più completa relazione sulla politica climatica messa in campo dai cosiddetti G20, vale a dire i paesi che rappresentano le più grandi economie mondiali. Sviluppato da esperti provenienti da 14 centri di ricerca e ong, il rapporto fornisce informazioni precise, misurabili e comparabili sulle diverse azioni di transizione energetica contro i cambiamenti climatici intraprese dalle 20 nazioni.
I ricercatori hanno valutato ben 80 diversi indicatori (riferibili a quattro macro-aree di analisi: contesto socio-economico, mitigazione, finanza e adattamento), mostrando che nessuno dei paesi del G20, Italia compresa, sta compiendo azioni significative per ridurre le emissioni e contrastare il global warming entro il 2030.
Nonostante gli sforzi compiuti nell’ultimo periodo, l’Italia è ben lontana dal raggiungimento degli obiettivi. Secondo il rapporto Brown to Green 2019 le performance del nostro paese non fanno ben sperare e lasciano l’amaro in bocca rispetto all’impegno profuso nella lotta al riscaldamento globale. Nello specifico, in Italia il piano di energia nazionale e il piano per il clima non tengono contro di una road-map di attuazione, proponendo anche un obiettivo meno ambizioso di riduzione di emissioni di gas serra rispetto alla strategia energetica nazionale del 2017.
Tuttavia, vengono giudicate positive le intenzioni del governo di introdurre un nuovo sistema di aiuti di Stato per sostenere le energie rinnovabili, con un finanziamento da 5,4 miliardi di euro. In Italia, la situazione appare poco soddisfacente soprattutto nel campo dei trasporti e del settore edilizio (inclusa la gestione e l’economia domestica), in cui il totale di emissioni nel 2018 (rispettivamente 1,67 e 1,8 tonnellate di CO2) è superiore alla media degli altri paesi G20.
L’Australia si è sorprendentemente rivelato il paese più problematico: non solo è ben lontana dagli obiettivi del 2050, ma anche dai ben più ridotti obiettivi del 2030. Nello specifico, la scheda-paese del rapporto mette in luce le tre azioni più significative prodotte dal governo australiano che dimostrano proprio lo scarso impegno del paese: 1) ad aprile 2019, il governo ha approvato la controversa apertura della miniera di carbone Carmichael, una delle ultime riserve di carbone non sfruttate conosciute; 2) il Pacchetto per le Soluzioni Climatiche del 2019 non chiarisce come l’Australia abbia intenzione di soddisfare il suo NDC (Nationally Determined Contribution, vale a dire il contributo di ciascun paese all’obiettivo dell’Accordo di Parigi); 3) considerando il Bilancio nazionale, l’Australia non farà più fluire fondi nel GCF (Green Climate Fund, il Fondo Globale per il Clima).
In generale, il Brown to Green mostra come, nel 2018, le emissioni di CO2 dei paesi G20 siano aumentate in tutti i settori, in particolare in quello dell’edilizia. Tuttavia, secondo i ricercatori è ancora possibile sviluppare una politica climatica ambiziosa che inverta la pericolosa rotta verso la quale ci stiamo dirigendo. Innanzitutto, bisognerà alzare gli obiettivi sulla riduzione delle emissioni entro il 2030 e concentrarsi sulle azioni di mitigazione ed adattamento. Anche la finanza, in questo, gioca un ruolo fondamentale.