Trasformare il polietilene dei sacchetti di plastica e delle pellicole alimentari in tessuto? A quanto pare è possibile. A dircelo è una ricerca a condotta dagli ingegneri del Massachussets Institute of Technology (MIT) in collaborazione con il Politecnico di Torino e l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRM), appena apparsa sulla rivista Nature Sustainability.
L’industria tessile è uno dei pochi campi in cui l’equazione “naturale = sostenibile” può talvolta perdere validità: l’utilizzo di fibre naturali come cotone, lino o seta, comunemente percepite come eco-sostenibili, cela un alto impatto ambientale, comprensibile solo analizzando l’intero ciclo di vita del tessuto che va dalla produzione della fibra, alla filatura, tintura e tessitura.
La produzione di tessuti colorati è un processo molto inquinante, richiedendo oltre 98 mila miliardi di litri d’acqua ogni anno e producendo scarti fluidi ad alta concentrazione di inquinanti, che richiedono un costo significativo per poter essere smaltiti in sicurezza.
E su queste tematiche si è sviluppata la ricerca “Sustainable polyethylene fabrics with engineered moisture transport for passive cooling” del Politecnico di Torino e Massachussetts Institute of Technology (MIT). Grazie ai processi di fabbricazione e la modellazione computazionale chimico-fisica delle microfibre si possono rendere i tessuti tecnici più performanti e più sostenibili di quelli naturali.
“L’impatto ambientale dei tessuti in fibre naturali è anche notevole durante il loro lavaggio, a causa della scarsa controllabilità delle caratteristiche chimiche e geometriche di queste fibre che porta a una richiesta energetica significativa sia in fase di lavaggio che di asciugatura”, spiegano Matteo Fasano, ricercatore del Multi-Scale ModeLing Laboratory – SMaLL del Dipartimento Energia al Politecnico di Torino e Pietro Asinari, docente del Dipartimento Energia e direttore all’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica, supervisori accademici del progetto.
I tessuti in polietilene sono stati dunque individuati come una valida alternativa. Il polietilene è il materiale plastico con i più alti volumi di produzione al mondo (oltre 149 milioni di tonnellate all’anno) e si trova in oggetti di uso comune come imballaggi o contenitori alimentari, il più delle volte monouso.
“Tacciato di nocività per l’ambiente, a conti fatti la produzione di tessuti colorati in polietilene ha un impatto ambientale inferiore del 60% rispetto a quelli in cotone. Le fibre in polietilene hanno inoltre basso costo e sono ultraleggere, e la loro struttura può essere ottimizzata con precisione per modificarne le caratteristiche meccaniche, termiche e ottiche, ottenendo così elevata resistenza a rottura e abrasione e ottima dissipazione del calore. In aggiunta, i pigmenti colorati tipici dello “sporco” aderiscono con difficoltà alla superficie delle fibre in polietilene grazie alla loro semplice struttura molecolare, risultando in proprietà antimacchia che ne semplificano il lavaggio a basse temperature” – spiega Svetlana Boriskina, coordinatrice della ricerca presso il MIT.
Tuttavia, questo fa anche sì che la colorazione del tessuto (bianco di norma) debba avvenire con un processo innovativo: i pigmenti, naturali o sintetici, vengono direttamente incapsulati all’interno delle fibre durante la loro forgiatura, evitandone così il rilascio durante il lavaggio”.
L’industria tessile ha per lungo tempo trascurato l’impiego del polietilene nel vestiario, a causa della scarsa traspirabilità e bagnabilità delle fibre che risulta poco confortevole. Per migliorare l’aspetto di comfort del capo di abbigliamento, la ricerca si è concentrata sull’ingegnerizzazione delle proprietà di trasporto dell’acqua nel tessuto, caratterizzando l’effetto di diversi intrecci e ottimizzando la geometria delle fibre di polietilene.
“Agendo sul processo di fabbricazione, è possibile modificare le caratteristiche chimiche superficiali e la forma delle fibre, controllando la bagnabilità e le proprietà capillari finali del tessuto, ossia la sua capacità di assorbire e trasportare un fluido al suo interno. Le ottime prestazioni raggiunte dal nuovo tessuto studiato sono dovute alla capacità delle fibre di polietilene di trascinare l’acqua sulla loro superficie pur rimanendo impermeabili, quindi impedendo al fluido di insinuarsi all’interno delle fibre stesse – cosa che invece accade di norma con quelle naturali” – spiega Matteo Alberghini, dottorando presso il Dipartimento Energia e il CleanWaterCenter del Politecnico, primo autore dell’articolo pubblicato.
La combinazione di queste proprietà rende questa nuova tipologia di tessuti lavabili e asciugabili a bassa temperatura, evitando l’insorgenza di macchie e garantendo rapidi tempi di asciugatura. Considerando contesti in cui è richiesto un lavaggio frequente di grandi quantità di tessuti, per esempio alberghi od ospedali, ciò si può tradurre in un considerevole risparmio energetico. Infine, il polietilene vanta un semplice e assodato processo di separazione e riciclaggio industriale: ciò consente di creare nuovi capi anche da materiale riciclato, con un grande potenziale di economia circolare.