Il report d’impatto, ben oltre il bilancio di sostenibilità

Il report d’impatto rappresenta un punto di forza delle società benefit contro il washing. Oggi per un’organizzazione, oltre al bilancio d’esercizio che evidenzia lo stato di salute dell’impresa dal punto di vista economico-finanziario, diventa cruciale anche il ruolo della rendicontazione non finanziaria dei capitali intangibili.

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© Gabrielle Henderson on Unsplash

Il report, in genere, è la rappresentazione di ciò che l’azienda realizza. È uno strumento di rappresentazione delle azioni/attività virtuose messe in atto dall’impresa ed è da considerarsi come una nuova opportunità e modalità di fare business.
Reputazione, sostenibilità, impatti socio-ambientali e capitali intangibili rappresentano i nuovi “elementi produttivi” che devono essere inclusi nella rendicontazione aziendale.

L’impatto e la sua valutazione per le organizzazioni

L’impatto è un concetto che indica la misura del cambiamento, delle ricadute che una organizzazione, e in particolare un’impresa, può generare sulle persone, nelle comunità e sull’ambiente. Ci sono diverse definizioni di impatto ma quella che condivido è definita dal prof. Zamagni come “il cambiamento sostenibile di lungo periodo (positivo o negativo; primario o secondario) che l’intervento ha contribuito anche parzialmente a realizzare”.

Fondamentale è poi valutare l’impatto, ovvero rilevare, analizzare e “dare valore” all’agire messo in atto dall’impresa attraverso le proprie attività realizzate, i servizi erogati o i progetti implementati a favore dei diversi assetholders (portatori di risorse) e degli stakeholders (lavoratori, collaboratori, soci, finanziatori, soggetti pubblici cittadini e alla comunità in senso più ampio. Secondo quanto definito dal codice del terzo settore, “per valutazione d’impatto si intende la valutazione qualitativa e quantitativa, sul breve, medio e lungo periodo degli effetti delle attività svolte sulle comunità di riferimento rispetto all’obiettivo individuato

Con la valutazione di impatto si mette in evidenza il contributo per la creazione di valore condiviso. Si tratta di un processo che valorizza gli elementi e i percorsi d’innovazione sociale di cui le organizzazioni si fanno portatrici (Zamagni e Venturi, 2015). Pertanto non è un mero processo di misurazione.

In Italia, questo processo di valorizzazione è un profondo cambiamento culturale poiché non occorre fermarsi solo a trovare gli indicatori (kpi) qualitativi e quantitativi appropriati e misurabili ma richieda un ulteriore passo in più, ovvero osservare la propria impresa e ciò che realizza con occhi diversi e chiedendosi: “Qual è il cambiamento di lungo periodo che si vuole generare o che si è generato attraverso l’attività imprenditoriale? E nei confronti di chi?”

In tal modo per l’impresa diventa prioritario darsi un purpose, letteralmente uno “scopo”, per individuare la ragion d’essere, la motivazione reale che spinge a fare impresa e farla bene. In tal modo il purpose chiama le imprese a un’assunzione di responsabilità anche sociale, d’agire per attivare buone pratiche che rendono concreto il proprio impatto sociale e ambientale.

L’impresa ha la possibilità di guardarsi all’interno per individuare delle dimensioni di valore, ovvero tratti specifici della sua identità, che legandosi al fine ultimo del suo agire e al suo modello di business prescelto incidono necessariamente sulla sua capacità di generare impatti e valore condiviso.

In Italia, dal 2016 vi è la possibilità per le imprese purpose-driven di assumere la qualifica giuridica di società benefit. La società benefit sceglie di impattare positivamente mentre realizza il suo core business impregnato di dimensioni valoriali con attenzione ai criteri ESG e agli obiettivi di sviluppo sostenibili previsti dall’Agenda 2030. Inoltre, si impegna “obbligatoriamente” a individuare azioni che creino impatti positivi o eliminano esternalità negative, misurandone gli effetti. Ed è questo il suo valore aggiunto strategico con tutti i ritorni economici, meritevoli e reputazionali che possono derivarne.

Il carattere innovativo dell’essere una società benefit è quello di attuare strategie capaci di coniugare business e attenzione al sociale e all’ambiente con l’impegno, assunto a livello giuridico, di valutare anche il proprio impatto sulla collettività e sul territorio. 

© Isaac Smith on Unsplash

Ma cosa significa valutare gli impatti di un’attività imprenditoriale?

La valutazione d’impatto va considerata un’opportunità di crescita e non un onere ulteriore poiché dà la possibilità all’impresa di ripensarsi in termini organizzativi, di efficienza e di efficacia nel rispondere ai bisogni sociali spesso latenti e irrisolti che quindi richiedono di essere affrontati in modo sistemico con il coinvolgimento di tutti gli attori presenti nel territorio in cui opera. Ma è anche una garanzia nei confronti degli stakeholders contro il rischio di green/social washing.

La valutazione d’impatto non essendo una mera raccolta dati ma un processo di analisi critica, che supporta l’organo amministrativo nelle sue decisioni, contribuisce anche a migliorare la trasparenza dell’impresa che rendiconta il proprio agire.

Assumendo la qualifica giuridica di società benefit le imprese hanno la possibilità di evidenziare in modo trasparente e responsabile il proprio agire d’impresa sostenibile in virtù dell’obbligo derivante dalla normativa benefit di impegnarsi a rendicontare, misurare e valutare, oltre alle performance economiche, anche quelle sociali e ambientali.

La SB sceglie di impattare positivamente mentre realizza il suo core business e in più si impegna “obbligatoriamente” a individuare azioni che creino impatti positivi o eliminano esternalità negative, misurandone gli effetti. Ed è questo il suo valore aggiunto strategico con tutti i ritorni economici che possono derivarne.

Il carattere innovativo dell’essere una società benefit è quello di attuare strategie capaci di coniugare business e attenzione al sociale e all’ambiente con l’impegno, assunto a livello giuridico, di valutare anche il proprio impatto sulla collettività e sul territorio.

Nel proprio statuto caratterizzato da uno scopo duale (ovvero di massimizzare o meglio ottimizzare i profitti con quello di generare impatti positivi o ridurre/eliminare quelli negativi su persone, nelle comunità e sull’ambiente) viene altresì cristallizzato il dovere di individuare e nominare un responsabile di impatto e redigere una relazione che rendicontai lo stato di avanzamento annuale degli obiettivi statutariamente definiti, quelli specifici, le modalità di azione e i nuovi obiettivi, una misurazione dell’impatto complessivo generato nei confronti dei propri stakeholders e assetholders.

Si va ben oltre la mera descrizione qualitativa di attività di Corporate Social Responsability propria della rendicontazione tradizionale riportata nel Bilancio di sostenibilità; tale strumento non è sufficiente per descrivere adeguatamente l’impegno delle società nei confronti di collettività e ambiente: senza una valutazione degli impatti basata su dati certi e misurabili, l’attività di reporting costituisce più uno strumento di marketing che un’effettiva garanzia di trasparenza verso stakeholder e investitori.

Occorre misurare e dare valore a ciò che si fa per dare conto non solo ai soci ma anche a tutti gli assetholders e stakeholders coinvolti, direttamente e/o indirettamente, nell’attività d’impresa.

In tal modo, il report d’impatto, allegato al bilancio d’esercizio, diventa un trust tool cruciale per trasmettere la propria responsabilità consapevolmente assunta e nel saper comunicare quanto di buono viene fatto con l’attività imprenditoriale per le persone e l’ambiente.

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